Collezione d'arte contemporanea su mattonelle

Museo Epicentro

Riferimenti storici

(gli artisti in grassetto sono presenti nella collezione del Museo Epicentro)

Unico nel suo genere è il Museo Epicentro fondato nel 1994, da Nino Abbate a Gala di Barcellona, in provincia di Messina. Si tratta di una collezione d’arte contemporanea su Mattonelle in cotto di cm. 30x30 in costante espansione, nuovi lavori sono raccolti ogni anno in occasione dell’Esposizione Nazionale d’Arte “Artisti per Epicentro”. Sono oltre novecento gli autori presenti con le loro opere sulle Mattonelle, su cui hanno operato con qualsiasi tecnica, colori e materiali (bronzo, marmo, ferro, vetro, legno, collage, colori a olio e acrilici, pastelli, ceramica, mosaico, fotografie).

La collezione documenta la presenza dei principali esponenti dei movimenti storici e tendenze dell’arte in Italia dal secondo Dopoguerra a oggi. Dal “Movimento di Corrente” sorto intorno al quindicinale Vita giovanile, fondato il 10 gennaio 1938 a Milano da Ernesto Treccani (Milano, 1920), poi ribattezzato Corrente di Vita TreccaniGiovanile, infine Corrente. Formato da un gruppo di giovani intellettuali dal desiderio di lotta e ribellione, in opposizione al classicismo di “Novecento”. Animato da Renato Birolli personalità di punta della pittura antiufficiale a Milano. Oltre a Ernesto Treccani, Guttuso, Sassu, Morlotti, Cassinari, De Grada, Gabriele Mucchi (Torino, 1989. Milano, 2002), Piero Gauli (Milano, 1916). Artisti di formazione e tendenze diverse ma legati da comuni interessi culturali e uguali convinzioni antifasciste. Corrente agirà sino al 1943 come galleria e casa editrice, in chiave d’impegno politico, e del valore dell’arte come strumento comunicativo, che avrà gran peso nelle posizioni realiste degli anni Cinquanta.

La cerchia di artisti che si riconoscono nelle posizioni realiste di Corrente, oltre a Lia Pasqualino Noto (Palermo, 1909-1999), e Trento Longaretti (Treviglio, 1914), ha una sorta di equivalente nei gruppi romani dai quali nascerà nel 1945 “l’Art Club” che sostiene l’indipendenza politica dell’artista. Per tutti modello di stile è Picasso, con “Guernica” esposta a Parigi nel 1937.

Nel frattempo l’Italia uscita dalla guerra percorre quel lento e faticoso cammino che conduce alla ricostruzione, facendo leva sui molteplici aspetti di rinnovamento che si avvertono anche nella pittura e nel cinema. Sarà usato per la prima volta il termine “Realismo” subito dopo mutato in “Neorealismo”. A lanciare l’espressione è il critico Mario De Micheli, che parla di “Realismo Dialettico” e precisa che bisogna però allontanare “qualsiasi interpretazione in senso veristico o naturalistico”. Nel febbraio del 1946 a Milano è lanciato il Manifesto del Realismo, divenuto poi noto come Oltre Guernica, firmato da Egidio Bonfante (Treviso, 1922), Dova, Morlotti, Testori e Vedova. In ottobre si proclama a Venezia la Nuova Secessione artistica, che rifluirà di lì a poco in Fronte Nuovo delle Arti, avrà vita breve: sarà la Biennale di Venezia del 1948 a far emergere le divergenze, e Il gruppo si spaccherà in quell’anno. Da una parte gli astrattisti; dall’altra i figurativi, tra questi: Guttuso, Giuseppe Zigaina (Cervignano del Friuli, 1924), Gabriele Mucchi, e Aldo Borgonzoni (Medicina, 1913-2004).

A Roma, Achille Perilli (Roma, 1927), Pietro Consagra (Mazara del Vallo, 1920. Milano, 2005), Dorazio, Turcato, Carla Accardi (Trapani, 1924), Sanfilippo e Attardi. Si riuniscono sotto la sigla di “Forma”. Il Manifesto è firmato il 15 marzo 1947. Ritengono che il Realismo non sia l’unico mezzo espressivo con cui si possa tradurre sulla tela il dramma della guerra appena terminata, propongono una sperimentazione fondata sui rapporti puri tra le forme geometriche e sui materiali.

A Firenze, Gualtiero Nativi (Pistoia, 1921-1999). Fonda nel 1947 il gruppo “Arte d’Oggi”, e firma nel 1950, il Manifesto dell’Astrattismo Classico, con Berti, Brunetti, Monnini e Nuti.

A Milano, il MAC (1948-1958), fondato da Gillo Dorfles (Trieste, 1910), Monnet, Munari, Soldati che danno l’avvio a quello che sarà il “Movimento Arte Concreta” l’atto ufficiale di nascita del Movimento s’identifica con la pubblicazione della Prima cartella di arte concreta che comprende dodici litografie (di Dorazio, Gillo Dorfles, Fontana, Augusto Garau (Bolzano, 1923), Guerrini, Mazzon, Monnet, Munari, Achille Perilli, Soldati, Ettore Sottsass jr. (Innsbruck, Austria, 1917.Milano, 2007), e Veronesi presentate presso la Galleria/libreria di Giuseppe Salto il 22 dicembre del 1948 a Milano. Il MAC reagisce tanto ai dogmi della figurazione tanto a quelli dell’astrazione postcubista propongono una pittura di “pure forme”, semplici figure geometriche e moduli grafici. Si aggregano ufficialmente al MAC artisti residenti a Milano, o rappresentanti in gruppi strutturati nelle città di Genova, Firenze, Napoli, Roma e Torino, da Gianni Bertini (Pisa, 1922), a Angelo Bozzola (Galliate, 1921), Renato Barisani (Napoli, 1918), Carla Accardi, Alberto Moretti (Carmignano, 1922), Gualtiero Nativi e Plinio Mesciulam (Genova, 1926). Il gruppo che opera in prospettiva internazionale, porterà nel 1955, alla fusione con il gruppo francese Espace, in nome di una definitiva integrazione di tutte le arti.

Lucio Fontana, rientrato in Italia, dall’Argentina nel marzo del 1947, a Milano avvia un dibattito con artisti, letterati e architetti, alla Galleria del Naviglio. Nel 1948 firma il Primo Manifesto dello Spazialismo, con Kaisserlian, Joppolo e Milena Milani (Savona, 1917), che firma in seguito tutti i Manifesti del “Movimento Spaziale”. Nel 1949, Fontana crea il suo primo “Ambiente spaziale con forme spaziali e illuminazione a luce nera”, mentre avvia la serie dei “concetti spaziali” bucando la tela e affidando al gesto, il compito di andare oltre le due dimensioni, “influisce sul rinnovamento di tutta una cultura che esalta in modo nuovo il segno, il gesto, precorrendo anche ogni tendenza verso un’arte concettuale”.

Nel 1951 si tengono delle mostre storiche del “Movimento Spaziale e Nucleare”. Dova, alla Galleria del Milione. Baj e Sergio Dangelo (Milano, 1932) alla San fedele, Milano. Gianni Bertini, alla Galleria il Numero, Firenze.

Il 17 maggio 1952 Fontana impiega per la prima volta il mezzo televisivo per una trasmissione artistica; nella stessa occasione viene diffuso il Manifesto del Movimento Spaziale per la televisione, firmato tra gli altri da Burri, Grippa, Dova, Fontana, La Regina, Milena Milani, Peverelli e Tancredi.

Sergio Dangelo, e Baj, artefici della Pittura Nucleare, presentano il primo “Manifesto della pittura nucleare” nel 1952 a Bruxelles; nel mese di aprile, mostra a Milano e proclamazione del Manifesto BOUM. Il lavoro dei due artisti risente dal punto di vista emotivo espressivo, delle suggestioni che l’incubo della guerra nucleare ha scatenato nella coscienza collettiva. Da quello formale esso riprende le grafie irrazionali, le deflagrazioni dell’immagine in macchia irregolare. In loro, tuttavia il riferimento alla tradizione surrealista della figurazione deformata è assai esplicito. Si muovono in quest’aria, Wladimiro Tulli (Macerata, 1922-2003), Mario Rossello (Savona, 1927 - Milano, 2000).

A Milano nei primi anni Cinquanta, Giansisto Gasparini (Casteggio, 1924), Piero Leddi (San Sebastiano Curone, 1930), affrontano le tematiche urbane e quotidiane in modo nuovo, con la loro pittura incisiva e drammatica, con Giancarlo Cazzaniga (Monza, 1930), Floriano Bodini (Gemonio, 1933-2005), Banchieri, Guerreschi, Romagnoni. Sono tra i principali esponenti del “Realismo Esistenziale”. La definizione di Marco Valsecchi in un articolo del 1956 su “Il Giorno”. La dimensione urbana e la dimensione critica sociale assumono una tematica inedita. Si muovono in quest’area: Giacomo Porzano (Lerice, 1925), Cesco Magnolato (Noventa di Piave, 1926), Alberto Sughi (Cesena, 1928).

Nel clima della pittura nucleare che nasce come reazione ai “manierismi della pittura”. Sono redatti nel 1957, a Milano due Manifesti, firmati da Ettore Sordini (Milano, 1934). Il Primo Manifesto, con Manzoni e Verga, L’arte non è vera creazione e per una pittura organica. Il secondo Manifesto Contro lo stile, con Gianni Bertini, Sergio Dangelo, Klein, Manzoni, Koening, Arnaldo e Giò Pomodoro.

Contemporaneamente nel panorama internazionale dell’arte è introdotto per la prima volta il termine “Informaledal critico francese Michel Tapiè per indicare qualsiasi forma di rappresentazione che non fosse né figurativa né geometrica. Le poetiche dell’informale, che tra il 1950-1960 prevalgono in tutta l’area europea, sono indubbiamente poetiche dell’incomunicabilità. In Italia artisti di formazione astratto-concreti confluiranno, ognuno secondo traiettorie differenti, all’interno dell’universo informale. E’ Francesco Arcangeli, con il noto saggio apparso su “Paragone” nel 1954, Gli ultimi naturalisti, deliberatamente asistematico nell’impostazione teorica, ma attento a cogliere, in seno alla schiera composita degli autori informali, le posizioni più connesse a ciò che indicherà come il contatto non soltanto dell’occhio, ma di tutto l’essere, con la consistenza della natura. Da queste premesse valorizzare artisti come Morlotti, Moreni, Andrea Raccagni (Imola, 1921-2005), Piero Giunni (Milano, 1912), Vasco Bendini (Bologna, 1922), Sergio Vacchi (Costenaso, 1925), è un’area di espressione dai contorni deliberatamente non definiti, alla quale fanno riferimento molto artisti soprattutto bolognesi: Mario Nanni (Castellina in chianti, 1922), Pier Achille Cuniberti (Padulle di Sala Bolognese, 1923), Germano Sartelli (Imola, 1925), Vittorio Mascalchi (Bologna, 1935), al giovanissimo Maurizio Bottarelli (Fidenza, 1943).

Nel panorama delle poetiche informali in Italia ci sono altri autori: Gina Roma (Tezze di Vezzole, 1914), Gastone Breddo (Padova, 1915), Giacomo Soffiantino (Torino, 1923), Domenico Spinosa (Napoli, 1916), Giuseppe De Gregorio (Spoleto, 1920-2007), Piero Raspi (Spoleto, 1920), Guido Strazza (S. Fiora, 1922), Arturo Carmassi (Lucca, 1925), Antonio Carena (Rivoli, 1925), Luigi Boille (Pordenone, 1926), Edoardo Franceschini (Catania, 1928. Milano, 2006), Maria Luisa De Romans (Milano, 1929), Sandro Somarè (Milano, 1929), Salvatore Emblema (Terzigno, 1929), Ennio Finzi (Venezia, 1931).

La generazione di pittori e scultori maturata negli anni Cinquanta presenta figure legate alla tradizione astratto-geometrica come Eugenio Carmi (Genova, 1920), Walter Valentini (Pergola, 1928), Pietro Consagra e Pietro Cascella (Pescara, 1921 - Pietrasanta, Lucca, 2008). Diversi scultori declinano progressivamente una sorta dì linguaggio astratto-informale, che appare caratteristica prevalente nel gusto d’avanguardia del tempo. Più di scultura informale si potrebbe dire di singoli scultori che rientrano nella poetica informale: Joaquin Roca-Rey (Lima, Perù, 1923 - Roma, 2004), Giancarlo Sangregorio (Milano, 1925), Giacomo Benevelli (Reggio Emilia, 1925), Carlo Ramous (Milano, 1926 - 2003), Mino Trafeli (Volterra, 1922), Bruno Martinazzi (Torino, 1925), Nado Canuti (Bettolle di Siena, 1929), Giancarlo Marchese (Parma, 1931), Franco Zazzeri (Firenze, 1938), Alberto Ghinzani (Valle Lomellina, 1939). Una maggiore adesione alla tradizione realista, la scultura di Floriano Bodini, Fabio De Sanctis (Roma, 1931), Valeriano Trubbiani (Macerata, 1937), Enzo Sciavolino (Valledolmo, 1937), Novello Finotti (Verona, 1939), Vito Tongiani (Matteria, Fiume, 1940). Altri Lavorano tra pittura e scultura come Gabriella Benedini (Cremona, 1932). Gianni Pisani (Napoli, 1935), Amalia Del Ponte (Milano, 1936).

A Milano nel 1959, Enrico Castellani (Castelmassa, 1930), Manzoni Agnetti e Agostino Bonalumi (Vimercate, 1935), danno vita alla Galleria e rivista “Azimuth” che segna una svolta radicale in seno alla nuova generazione d’avanguardia milanese, infatti, si proponeva di diffondere le nuove idee sulla progettualità organizzata. La “pittura-oggetto” di Castellani e Bonalumi, apre una nuova prospettiva di ricerca nell’ambito di una pittura rigorosamente monocroma ma insieme di trasgressione dello spazio-superficie del quadro, attraverso il trattamento tridimensionale della tela. Confluisce nell’attività di Azimuth Dadamaino (Milano, 1935-2004), superando la problematica della pittura, definisce i suoi segni, l’alfabeto della mente. La fine degli anni Cinquanta sono segnati a Milano, da una certa effervescenza culturale, tra i protagonisti Nanda Vigo (Milano, 1940), compagna di Manzoni, aderisce al “Gruppo Zero” di Dusseldorf.

Nel 1958 a Napoli si forma il “Gruppo 58” con Biasi, Lucio Del Pezzo (Napoli, 1933), che presenta nel 1963. “La grande raccolta metafisica” archiviava in piccoli scaffali di legno, caratteristici oggetti (inaugura così la serie degli assemblages). Fergola, Luca, e Mario Persico (Napoli, 1930), le cui matrici dada e surrealista sono evidenti nelle sue opere. Nel 1959 nasceva la rivista Documento Sud vero e proprio trat-d’union tra l’avanguardia napoletana e le avanguardie europee.

In quest’ambito variegato di sperimentazioni nasce il “Gruppo di Cenobio” che si presenta ufficialmente nel 1962, nell’anonima galleria milanese l’altra avanguardia, con Ettore Sordini, Verga, Vermi, Ugo La Pietra e Agostino Ferrari (Milano, 1938).

L’ombra lunga del MAC, a favore di un astrattismo geometrico e tecnologico, collocabile con l’universo dell’industria, si stende su tutto il versante della produzione artistica italiana. Storica la mostra organizzata nel 1962 a Milano da Munari e presentata da Umberto Eco, sono protagonisti artisti-designer, i quali proclamano superato il momento informale, propongono un’arte che può collegarsi al design, l’architettura e l’industria, una tendenza con concezioni innovative come quelle del modulo e del multiplo, inteso a superare il feticismo dell’originale unico e a portare l’oggetto d’arte a contatto con un numero maggiore di persone. Da questa mostra tenuta nel negozio Olivetti, deriva la consacrazione dell’”Arte Cinetica, Ottica e Programmata”. Per l’Italia questi sono anni di straordinaria fioritura economica, nasce un nuovo design, una nuova moda, una nuova architettura, e la progettazione, l’arte programmata sembra uno strumento, che può guidare con razionalità il mondo, (un’arte che con l’intervento dello spettatore o dello stesso autore può modificarsi secondo un programma stabilito). Si esprime in lavoro di gruppo, anche se restano molto i casi di operazione individuale: Vasarely, Enzo Mari, Getulio Alviani (Udine, 1939), Marcello Morandini (Varese, 1940), Piero Fogliati (Canelli, 1930).

Il “Gruppo T”. Si formava nel 1959 a Milano, con Giovanni Anceschi (Milano, 1939), Boriani, Colombo, Gabriele De Vecchi (Milano, 1938), Grazia Varisco (Milano, 1937). L’interesse di questi artisti si rivolgeva nella variabilità dell’oggetto e gli effetti della partecipazione diretta dello spettatore.

Il “Gruppo Enne”. Si formava a Padova nel 1960, con Alberto Biasi (Padova, 1937), Chiggio, Costa, Edoardo Landi (San Felice sul Panaro, 1937), Manfredo Massironi (Padova, 1937). Nel loro manifesto del 1962, essi definivano il loro campo di sperimentazione “la percezione psicologica in tutti i suoi aspetti”.

Il “Gruppo MID”. Nato nel 1964 a Milano, con Antonio Barrese (Milano, 1945), Alfonso Grassi (Asmara, 1943), Laminarca, Alberto Marangoni (Giussano, 1943). Gruppo di operatori legati a ricerche ottico percettive.

Il “Gruppo 1”. Nasce a Roma nel 1962, nel clima d’impostazione neoconcreta, per opera di Gastone Biggi (Roma, 1925), Nicola Carrino (Taranto, 1932), Nato Frascà, (Roma, 1931-2006), Achille Pace (Termoli, 1923), Pasquale Santoro (Ferrandina, 1933), Giuseppe Uncini (Fabriano, 1939-2008). Nel 1964 alla Galleria del Cavallino, a Venezia presentano il Manifesto “Poetica della percezione”.

Nel panorama italiano del Design e Architettura; Ettore Sottsass Jr. Figura eclettica e poliedrica, non è stato solo una delle firme più importanti della ricerca più innovativa del design internazionale, ma un protagonista della cultura del Novecento. Alla fine degli anni Settanta Alchimia fondata da Alessandro Guerriero come studio grafico, diventa dal 1978 e per i primi anni ‘80, il punto nel quale convergono ricerche e progetti dell’avanguardia post-radicali milanese, facente capo ad Alessandro Mendini (Milano, 1931), Ettore Sottsass Jr. e Andrea Branzi (Firenze, 1938). Una collezione annuale di oggetti d’arredo e lo Studio Alchimia come galleria per esporla: questa, in sintesi, l’idea sulla quale lavorano, con Guerriero, Sottsass, Mendini, Branzi, Il gruppo UFO con Lapo Binazzi (Firenze, 1943), Franco Raggi, De Lucchi, Paola Navone. L’iniziativa si concreta nelle prime collezioni “Bau-Haus 1”, 1979 e “Bau- Haus 2”, 1980. Irriverenti non sono nel titolo, sono la prima esposizione del Nuovo Design; ispirato alla cultura popolare, banali e intellettualistici nel loro gusto stile anni Cinquanta, i pezzi sono i prototipi che vogliono sottrarsi ai normali canali di vendita e proporsi come oggetti d’arte. Questo elitarismo che rifugge la produzione in serie determina la scissione di alcuni componenti. Ettore Sottsass ed altri, fondono Memphis, mentre Alchimia appare sempre più legata alle posizioni ideologiche di Alessandro Mendini, “Design phenomene” al Forum Design 1979 di Linz e “L’Oggetto Banale” alla Biennale di Venezia 1980 danno risonanza internazionale al fenomeno Alchimia. Nello stesso1981 Memphis presenta la sua prima collezione, più orientata al mercato e pronta ad essere replicata. Memphis storicamente giudicato uno dei più significativi movimenti di design italiano con Ettore Sottsass, collaborano tra gli altri, Hollein, Isozaki, De Lucchi, Nathalie Du Pasquier (Bordeaux, Francia, 1957), e Andrea Branzi, fondatore della Global Tools, e nel 1974 del Gruppo Archizoom, con Paolo Deganello (Este, 1940) e Gilberto Corretti (Firenze, 1941), e Marozzi. Archizoom rappresenta con Sottsass, Ugo La Pietra (Bussi sul Tirino, 1938), Riccardo Dalisi (Potenza, 1931), Superstudio e il gruppo Strum, una delle voci più significative dell’ant-design e dell’architettura radicale anni ‘60.

Vico Magistretti (Milano, 1920-2006). Architetto, urbanista, designer. Con Caccia Dominioni e Gardella, fonda nel 1947 “Arzucena” considerata la Wiener-Werkstàtte italiana degli anni Cinquanta. Magistretti si definisce un Robinson che inventa le cose quando ne ha bisogno, molti suoi oggetti nascono da motivi contingenti, ma l’originalità dell’invenzione li rende universali. Carlo Aymonino (Roma, 1926). Tra i maggiori architetti italiani, lavora inizialmente con Ridolfi e Quaroni. Il rapporto architettura/urbanistica, tipologia edilizia e morfologia urbana caratterizzano costantemente la forte, intensa progettualità delle sue opere. Enzo Mari (Novara, 1932). Personalità sfaccettata e problematica tra le più interessanti del design italiano, dalla metà degli anni ‘50. Si occupa di psicologia della visione, in particolare della percezione dello spazio tridimensionale e della programmazione di strutture percettive. Arduino Cantafora (Milano, 1945). Architetto e artista. A metà degli anni ‘70 collabora con Aldo Rossi. Denis Santachiara (Campagnola Emilia, 1950). Si occupa di arti visive con ispirazione concettuale analitica. Nel 1984 cura l’allestimento alla Triennale di Milano e al Centre Pompidou di Parigi, della mostra-manifesto “La Neomerce”. Stefano Boeri (Milano, 1956). Architetto e designer, fondatore del gruppo Multiplicity, con la quale promuove progetti di ricerca per indagare questa proliferazione di modi di creare confini e per osservare le conseguenze e l’incidenza del fenomeno sullo spazio e sulla società del nostro tempo. Il Gruppo A 12. Collettivo di architettura fondato nel 1993 a Genova. Ha firmato alla 50° Biennale di Venezia nel 2003, la struttura collocata nella zona verde adiacente al bookshop.

Ancora permane ben viva e si rinnova la tradizione della “Scultura in Ceramica”, trova nuova linfa tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta in virtù delle corrispondenze sempre più fitte tra ricerca artistica, arti applicate e design. E’ in quest’ambito che nei centri di maggiore tradizione da Albisola (il luogo più importante italiano di sperimentazione per la ceramica d’arte del Novecento, spiaggia degli avanguardisti, dai Futuristi agli Spazialisti, dai Cobra ai Nucleari, di una ceramica giocata in tutto campo, tra sacro e profano). A Faenza a Bassano del Grappa, si rivelano nel tempo figure di primo piano, come: Carlo Zauli (Faenza, 1926-2002), Pompeo Pianezzola (Nove, 1925), Nino Caruso (Tripoli, 1928), Carlos Carlè (Oncativo, Argentina, 1928), Milena Milani (Savona, 1917), Nedda Guidi (Gubbio, 1927), Alessio Tasca (Nove, 1929), Carlo Cattaneo (Alassio, 1930), Guido Infante (Orria, 1930), Pino Castagna (Castelgomberto, Vicenza, 1932), Federico Bonaldi (Bassano del Grappa, 1933).

Tra gli autori storici dell’Arte Vetraria in Italia; Livio Seguso (Venezia, 1930), e Luciano Vistosi (Venezia, 1931). Si sono formati nella nobile tradizione muranese realizzando sculture in vetro soffiato che ne esalta sia la trasparenza che l’intensità della luce, oltre la forma.

Le origini del Mosaico sono antichissime, sappiamo con certezza che nel 246-238 a.C. la nave Siracusa aveva il pavimento delle cabine decorato in mosaico con scene tratte dall’Iliade. I primi mosaici erano in ciottoli e pietre, soltanto in epoche successive, e precisamente nel 260-250 a.C. che il greco Sosos inventò il pavimento musivo, realizzato con multiformi tessere colorate. Tra i mosaicisti, il gruppo “Officina del Mosaico” di Ravenna.

Dopo la crisi dell’informale, agli inizi degli anni Sessanta, l’attenzione è calamitata anche da un ritorno figurativo da parte di artisti che tuttavia intendono distinguersi dal Realismo o da filoni più tradizionali, con immagini esistenzialmente sofferte la cui riconoscibilità è in parte accentuata, in una visione allusiva, che utilizza ingredienti dell’espressionismo e del surrealismo. Sono, in effetti, il prototipo della “Nuova Figurazione”, si muovono in quest’area: Giannetto Fieschi (Zogno, 1921), Titina Maselli (Roma, 1924-2004), Sergio Vacchi (Costenaso, 1925), Enrico Colombotto Rosso (Torino, 1925), Aurelio Caminati (Genova, 1924), Alberto Gianquinto (Venezia, 1929-2003), Carmelo Zotti (Trieste, 1933-2007), Robert Carroll (Painesville, Stati Uniti, 1934), Romano Notari (Foligno, 1933).

Una certa continuità sul filone tradizionale della figurazione, la pittura di Felicita Frai (Praga, Cecoslovacchia, 1914), Eva Fischer (Daruvar, Iugoslavia, 1920), Dino Boschi (Bologna, 1923), Gaetano Pallozzi (Sulmona, 1926), Bruno Caruso (Palermo, 1927), Aldo Turchiaro (Celico, 1929), Francesco Tabusso (Sesto San Giovanni, 1930), Mario Donizetti (Bergamo, 1932), Mauro Chessa (Torino, 1933), Renato Volpini (Napoli, 1934), Francesco Casorati (Torino, 1934), Nani Tedeschi (Castelbosco, 1938).

La “Fotografia” nei primi anni Sessanta, vede autori come: Mario De Biasi (Belluno, 1923), Fulvio Roiter (Venezia, 1926), Carlo Gaiani (Bazzano, 1929), Gianni Berengo Gardin (Santa Margherita Ligure, 1930), Pepi Merisio (Bergamo, 1931), Romano Cagnoni (Pietrasanta, 1935), Maria Mulas (Milano), Letizia Battaglia (Palermo, 1935), Giuseppe Leone (Ragusa, 1936), che hanno un approccio realistico alla visione che si esprime nella descrizione antiretorica ma di profonda partecipazione etica ed emotiva, degli eventi, di forte preso sociale. Parallelamente a questo filone d’impegno civile, le anticipazioni di Nino Migliori (Bologna, 1926), e Renato Barisani autori d’immagini riferibili alla cultura astratto-informale.

Mentre “l’Arte Programmata” cerca di ricondurre la creatività astratta a un atto razionale e la “Nuova Figurazione” reagisce all’astrazione “Informale”. Il “New Dada” punta a una rivoluzione del linguaggio pittorico che apre sulla “Pop art”. Nel 1962, Schifano insieme a Festa, Rotella e Gianfranco Baruchello (Livorno, 1924), che muove da espliciti riferimenti a Duchamp, con oggetti e incroci di parole e immagini, partecipano alla mostra New Realists da Janis, New York, che ratifica la Pop come fenomeno internazionale. Si muove in quest’area, anche Fabio Mauri (Roma, 1926), passato attraverso il neo-dadaismo e l’arte oggettuale, crea composizione polimateriche.

La Pop Art, considerata un fenomeno anglo-americano (Lichtenstein, Warhol), ebbe la sua maggiore diffusione mondiale dal 1964, alla XXXII. Biennale di Venezia. Ha comunque espresso nell’Europa continentale istanze analoghe la cui carica espressiva trova eco in alcune esperienze italiane: Giosetta Fioroni (Roma, 1932), Mario Ceroli (Castelfrentano, 1938), Renato Mambor (Roma, 1946), Cesare Tacchi (Roma, 1940). Sono i principali esponenti dell’“Pop art italiana”, detta Scuola di Piazza del Popolo, con Schifano, Angeli, e Festa. Di particolare spicco gli esiti di Concetto Pozzati (Vò Vecchio, 1935), Piero Gilardi (Torino, 1943) e Gino Marotta, (Campobasso, 1935). Partecipano a esperienze che si elaborano nell’ambito della Pop Europea. Roberto Barni (Pistoia, 1939), Umberto Buscioni (Bonelle, 1931), e Gianni Ruffi (Pistoia, 1932). Rappresentano la “Scuola di Pistoia” formatosi dalla metà degli anni Sessanta sul filo di una gustosa Pop all’italiana.

Il linguaggio Pop è rielaborato da artisti che operano a Milano, anche in una chiave di figurazione politica con forti accenti di denuncia, con Spadari, Paolo Baratella (Cremona, 1935), Fernando De Filippi (Lecce, 1940), Umberto Mariani (Milano, 1936).

Nel Clima Pop di scambio tra diversi media alcuni artisti affiancano alla pittura la ricerca filmica o brevi spettacoli: nasce così il film d’artista, l’happening, body art, video art, performance. Caso esemplare è quello di Cioni Carpi (Milano, 1923), che proviene da una formazione specificatamente teatrale e sceglie di agire sui confini tra teatro, musica e cinema. A esperienze vere e proprie di teatro si avvicina Mario Ceroli. Di Arte Abitabile si dice alla mostra di Piero Gilardi e Pistoletto da Sperone (1966). A Lo spazio dell’immagine a Foligno, Enrico Castellani, Agostino Bonalumi, Gabriele De Vecchi, presentano opere ambientali. Infine con il Teatro delle mostre, alla Tartaruga di Roma (1968), si esplicita in modo definitivo il senso di happening con, Giosetta Fioroni, Paolini, Paolo Icaro, Calzolari, Angeli, Enrico Castellani, Mario Ceroli, Laura Grisi, Renato Mambor, Cesare Tacchi, Boetti, Fabio Mauri, G. Parisi (quindi artisti ma anche scrittori e musicisti) danno vita a brevi eventi che coinvolgono lo spazio della galleria e gli spettatori.

Parallelo, si svolge il percorso di avvicinamento al cinema sperimentale. Nel 1963 con Gianfranco Baruchello. Mentre Nato Frascà, realizza il film Kappa (1966). Luca Patella si presenta al Girasole di Roma con foto, proiezioni e pitture fotografiche. Facendo sconfinare fra loro, in senso molteplice, fotografia-pittura, fotografia-incisione, fotografia-diapositive-animazione e film (1967). Inoltre gira SKMP2, nel quale recitano Mattiacci e Pascali (1968).

I rapporti tra pratica artistica e fotografia hanno una tradizione più consolidata. Ora, in chiave di sperimentazione tecnica e di utilizzo e dei media tecnologici, quest’ultima si trova a vivere un nuovo ruolo: Sull’esperienza di autori come l’inglese Hamilton, e sul precedente degli inserti fotografici di Gianni Bertini. Nel 1965 si tiene alla Galerie J di Parigi l’Homage a Nicephone Nièpce, che mostra nel titolo una sorta di “rifondazione” della pratica artistica a partire dalla fotografia. Ne scaturirà il movimento artistico che il fondatore, Pierre Restany, indica, come “Mec-art”, e che troverà l’espressione più compiuta in Pittura meccanica per una nuova iconografia all’Apollinaire, Milano, 1968, oltre a Bèrguier, Neiman, vi prende parte Giorgio Albertini (Milano, 1930), Gianni Bertini, Anna Comba (Torino, 1945), Luca Patella, Rotella e Aldo Tagliaferro (Legnano, 1936). Realizzano montaggi ed elaborazioni di fotografie, sia eseguite appositamente, sia riprese dai media, accellerandone il valore ora paradossale, ora critico.

La stessa natura effimera di evento di molte delle operazioni di questi anni rende necessaria la Fotografia nella funzione duplice di documentazione e creazione estetica. E’ il caso di U. Mulas, Elisabetta Catalano (Roma), Uliano Lucas (Milano, 1942), Claudio Abate (Roma, 1943), Mimmo Jodice (Napoli, 1934), Paolo Pellion Di Persano (Castagneto Po, 1947), autori di tutta la documentazione delle neoavanguardie degli anni Settanta.

Sulla scia di tutte queste spinte disciplinari si operano alcuni recuperi di esperienze sporadiche e pioneristiche dell’avanguardia storica, soprattutto futurista e dada, dalla realizzazione di dischi ed eventi sonori a quella, più consueta, di libri d’artista e nella pratica dei libri-oggetto tipica di “Fluxus” gruppo sperimentale promosso in America nel 1962 da Maciunas e da artisti - quasi tutti operanti in campo musicale. Fluxus non ha puntato sull’idea di avanguardia come rinnovamento linguistico, ma su un uso diverso dei canali ufficiali dell’arte e sullo scardinamento di ogni linguaggio specifico. L’apporto di Fluxus sarà fondamentale nella musica e nel teatro, nel coinvolgimento del pubblico all’azione scenica. Tra gli esponenti storici di Fluxus: Maciunas, Yoko Ono, Spoerri, Philip Corner (New York, 1933), La Monte Young, Giuseppe Chiari (Firenze, 1926-2007), Gianni Emilio Simonetti (Roma, 1940).

Ma l’evento artistico più rilevante della seconda metà degli anni Sessanta è il manifestarsi del “Movimento di Arte Povera” coordinato da Germano Celant e rivelatosi con una mostra Arte povera-Im spazio il 4 ottobre 1967 alla Galleria Bertesca di Genova, presenta in due sezioni: Boetti, Fabro, Kounellis, Paolini, Pascali, Prini; e Bignardi, Mario Ceroli, Paolo Icaro, (Torino, 1936), Renato Mambor, Mattiacci, Cesare Tacchi. Nel febbraio 1968, Arte povera è, a Bologna, Dè Foscherari: Anselmo, Boetti, Mario Ceroli, Fabro, Merz, Paolini, Pistoletto, Prini, Piacentino e Zorio. Precoci sono, come si è visto gli specchi di Pistoletto, le opere lignee di Mario Ceroli, le strutture di ferro di Paolo Icaro, i tappeti-natura di Piero Gilardi, e le installazioni di Pascali. Su un immaginario più prettamente pop, Aldo Mondino (Torino, 1938-2005).

Le contestazioni radicali della fine degli anni Sessanta hanno lasciato il segno fare Arte sembra impossibile, ma il fiorire della “Poesia Visiva” - lettere alfabetiche, ideogrammi, corsivi, arabeschi, immagini, geroglifici, combinati in modo di scuotere il linguaggio e la lettura d’uso abituale, definisce la Poesia Visiva, dalla prima metà degli anni Sessanta, dai suoi riferimenti storici, dalle poesie di Apollinaire alle parolibere futuriste... perché questa ultima nasce nell’ambito della poetica Pop, con le implicazioni “di ribaltamento” dei messaggi “coercitivi” della comunicazione dei mass media, che l’ideologia pop assumeva generalmente in Europa. È proprio nell’ambito dei “media” Luca Patella (Roma, 1938) è tra i primi esponenti storici. Mentre Sergio Lombardo (Roma, 1938). Legato a ricerche di carattere piscologico-mentale tentava di esorcizzare la guerra dei nervi sollecitata dai mass media, giocando sulla non-conoscenza e sulla comunicazione manipolata.

La “Poesia Visiva” comprende anche il libro-oggetto, la scrittura visuale, la poesia concettuale, la concreta. Tra gli altri: Stelio Maria Martini (Napoli, 1934), Emilio Isgrò (Barcellona, 1937), Mirella Bentivoglio (Klagenfurt, Austria, 1922), Martino Oberto (Genova, 1925), Anna Oberto (Ajaccio, 1934). A Firenze alla metà degli anni Sessanta, tra gli artisti che hanno accolto la poetica pop, legandola al momento tecnologico, che ha avuto il suo centro nel “Gruppo 70” con Lamberto Pignotti (Firenze, 1926), Eugenio Miccini (Firenze, 1925), Luciano Ori (Firenze, 1928-2007), e Lucia Marcucci (Firenze, 1933). L’altro versante sarà quello della “Poesia Concreta”, impostata secondo una progettualità aperta e libera, fondata sull’uso ‘strutturale’ di caratteri tipografici. Arrigo Lora Totino (Torino, 1934), Ugo Carrega (Genova, 1935), Nelle varie forme la poesia visiva occupa sostanzialmente una cerchia di artisti dalle prevalenti intenzioni letterarie, Magdalo Mussio (Volterra, 1925-2006), Roberto Sanesi (Milano, 1930-2001), Michele Perfetti (Bitonto, 1931), Vincenzo Ferrari (Cremona, 1941), il più avventuroso nel tentare la mediazione tra strumenti verbali e pittorici. Irma Blank (Celle, Germania, 1934), con le sue trascrizioni riduce la scrittura a traccia.

Si muovono per certi aspetti in quest’area: Maria Lai (Ulassai, 1919), con i suoi libri d’artista, Ezio Gribaudo (Torino, 1929), con i suoi logogrifi. Giorgio Celiberti (Udine, 1929), con le sue immagini graffite o segniche di consistenza materica. Riccardo Licata (Torino, 1929), avvalendosi di un linguaggio composto di segni cuneiformi, uncinati e geroglifici.

Anche la ricerca geometrica, mostra segni di discontinuità rispetto alle premesse. Nel 1965 da De Nagy, New York, si tiene la mostra Shape and Structure, seguita l’anno successivo da Primary Structures allo Jewish Museum. E’ l’affermazione della “Minimal art”, ovvero la realizzazione di oggetti plastici la cui formazione geometrica non allude a null’altro che alla propria specifica, concreta presenza nello spazio, come incarnazione fisica di un pensiero dello spazio stesso. Ciò è evidente nell’evoluzione di autori italiani come: Carlo Lorenzetti (Roma, 1934), Giuseppe Uncini (Fabriano, 1929), Giovanni Campus (Olbia, 1929), Igino Legnaghi (Verona, 1936), Teodosio Magnoni (Offanengo, 1934), Nicola Carrino (Taranto, 1932), Paolo Icaro (Torino, 1936), Gianfranco Pardi (Milano, 1933), Mauro Staccioli (Volterra, 1937), Riccardo Cordero (Alba, 1942), Pietro Coletta (Bari, 1943).

Tra i protagonisti della Land - Art in Italia Giuliano Mauri (Lodi Vecchio, 1938). Sviluppa alcune premesse ambientaliste, operando interventi formali nel paesaggio. Le sue costruzioni sembrano essere direttamente ispirate da forme naturali ibridate con modelli architettonici senza tempo. 

Nel corso degli anni Sessanta, alcuni eventi artistici non sono gradevoli, anche le grandi sedi dell’arte risentono di quel clima: la Biennale di Venezia, inaugurerà il decennio aprendo all’arte concettuale, in cui i primi interventi si riveleranno traumatici.

De Dominicis mostra al pubblico come “opera d’arte un giovane minorato psichico; Antonio Paradiso (Santerasmo, 1937). La sua audace e sgradevole performance intitolata “toro e mucca meccanica”. Poteva capitare anche di andare in galleria e di trovare niente più di una stanza imbiancata a calce e completamente vuota, che rappresentava di se stesso la morte dell’arte.

Da qui matura una nuova generazione di pittori dai percorsi isolati, che interpretano variamente la continuità di una figurazione che, dismessi propositi narrativi, si concentra su una sorte di evocazione poetica, svolta sulla pura intensità dei colori: Piero Guccione (Scicli, 1935), Alberto Gianquinto, Enrico Della Torre (Pizzighettone, 1931), Attilio Forgioli (Salò, 1933), Franco Sarnari (Roma, 1933), Ruggero Savinio (Torino, 1934), Piero Vignozzi (Firenze, 1934), Giancarlo Ossola (Milano, 1935), Ennio Calabria (Tripoli, 1937), Ercole Pignatelli (Lecce, 1937), Tino Stefanoni (Lecco, 1937).

Filberto Menna nel 1975, teorizza il Movimento “Nuova pittura” poche linee tracciate su una tela esprimono l’estenuazione del mezzo tradizionale. Un calcolato rapporto collega anche forme e misure della tela agli elementi cromatici analiticamente strutturati. C’è in questa ricerca un elemento concettuale, inteso però al recupero delle qualità sensibili della pittura. I primi a iniziare questo tipo di ricerca furono gli americani, e il gruppo francese “Support-Surface”, in Italia: Giorgio Griffa (Torino, 1936), Marco Gastini (Torino, 1938), Claudio Olivieri (Roma, 1934), Valentino Vago (Barlassina, 1931), Sandro Martini (Livorno, 1941).

La ricerca sul colore-luce caratterizza, il lavoro di Carlo Nangeroni (New York, 1922), Elio Marchegiani (Siracusa, 1929), Carlo Ciussi (Udine, 1930), Oscar Piattella (Pesaro, 1932), Carlo Battaglia (Isola della Maddalena, 1933), Riccardo Guarneri (Firenze, 1933), Paolo Masi (Firenze, 1933), Mario Raciti (Milano, 1934), Renata Boero (Genova, 1936), Giancarlo Bargoni (Genova, 1936), Claudio Verna (Guardiagrele, 1937), Vincenzo Satta (Nuoro, 1937), Gottardo Ortelli (Viggiù, 1938-2003), Pino Pinelli (Catania, 1938), Gianfranco Zappettini (Genova, 1939), Sandro De Alexandris (Torino, 1939), Antonio Passa (Cava Dei Tirreni, 1939), Paolo Cotani (Roma, 1940), Ferruccio Gard (Vestigne, 1940), Paolo Minoli (Cantù, 1942-2004), Gianfranco Notargiacomo (Roma, 1945), Franco Guerzoni (Modena, 1948).

Il 19 dicembre 1974 prende avvio la rassegna Cinema d’artista al Museo Progressivo di Livorno. Lo stesso anno inizia a operare il Centro Video Arte del Palazzo dei Diamanti di Ferrara. Anni dopo, nella mostra Linee della ricerca artistica in Italia 1960-1980, la sezione “Cinema degli artisti” vede la presenza, tra gli altri, di Gianfranco Baruchello, Luca Patella, Schifano, Nato Frascà, Valentina Berardinone, Ugo La Pietra, Andrea Granchi, Cioni Carpi, Antonio Paradiso, Ontani, Fernando De Filippi, Gianni Emilio Simonetti.

Nelle stesse settimane in cui si apre a Roma (1973) Contemporanea la mostra più importante dei primi anni Settanta, un’altra mostra, Italy Two. Art around ‘70 presenta a Filadelfia una lettura della situazione assai più sofisticata sul piano delle ricerche nuove. Tra i partecipanti figurano, tra gli altri, autori come Alfano, Chia, Clemente, De Dominicis, Laura Grisi (Rodi, Grecia, 1938), Gianfranco Notargiacomo, Pisani e Michele Zaza.

Nel 1975, al Museo Progressivo di Livorno, si tiene la rassegna Narrative Art, a cura di Renato Barilli, A, Bonito Oliva, Vittorio Fagone, F. Menna e Lara Vinca-Masini. Si tratta del momento di massima compressione concettuale che l’arte abbia conosciuto nell’intero decennio, essa tende a ‘defunzionalizzare’ il linguaggio (nel caso specifico della letteratura, e della fotografia). Sono protagonisti operatori oggi considerati fra i più classici nel genere, quali Agnetti, Franco Vaccari, Luca Patella. E’ il trionfo dell’arte parlata, della riflessione critica, dell’“operare negativo”. E’ inevitabile, pur in quest’apparente percorso senza uscita, l’approssimarsi di una svolta.

E’ notevole osservare come le figure più interessanti maturino nella direzione di un uso libero e non dimostrativo dei mezzi nuovi, in particolare, l’azione/evento e, la “Fotografia”, la cui relativa semplicità ed economicità tecnica è oltretutto incentivo a sperimentazioni, è il tramite verso una vera e propria concezione artistica. In più, il senso d’immediatezza garantito dal diffondersi di un mezzo fotografico nuovo, la polaroid, permette ulteriori esplorazioni. Alla Biennale di Venezia del 1972, Franco Vaccari (Modena, 1936), presenta Lascia su queste pareti una traccia fotografica del tuo passaggio, opera progressiva, consistente in una cabina per fotografie istantanee nella quale gli spettatori si ritraggono appendendo poi sulla vicina parete le immagini, in una sequenza illimitata.

Michele Zaza (Molfetta, 1948), rappresenta il primo tentativo compiuto di utilizzare il mezzo fotografico in un modo che si vuole poetico. Mario Cresci (Chiavari, 1942), vanta un retroterra in seno alla cultura fotografica classica, tradotto in pratiche con forte contenuto sociologico e narrativo. In effetti, negli anni Settanta si verifica la maturazione di un’intera, generazione di autori che scelgono di mediare tra i protocolli storici della fotografia e il più problematico sguardo dell’arte. E’ il caso di Gabriele Basilico (Milano, 1944), Mimmo Jodice (Napoli, 1934), Ferdinando Scianna (Bagheria, 1943), Francesco Radino (Bagno a Ripoli, 1947), Franco Fontana (Modena, 1933), Giuseppe Pino (Milano, 1940). La figura di maggiore spessore, sul piano della ricerca linguistica, è Luigi Ghirri (1943-1992), il suo lavoro svolto poeticamente sul piano della riflessione teorica, fa di riferimento a una larga area di figure impegnate nella ricerca artistica attuata col mezzo fotografico, che ha un momento importante di definizione nel libro Viaggio in Italia, 1984, tra gli altri: Olivo Barbieri (Carpi, 1954), Vincenzo Castella (Napoli, 1952), Giovanni Chiaramonte (Varese, 1948), Guido Guidi (Cesena, 1941). Il lavoro di Ghirri ha segnato una strada percorsa in seguito da altri autori come Silvio Wolf (Milano, 1952), Antonio Biasucci (Dragoni, 1961).

In ambito postconcettuale maturano altre personalità significative: Antonio Trotta (Stio, Salerno, 1937), opera nella prospettiva di una scultura che recuperi la propria identità concettuale. Hidetochi Nagasawa (Manciuria, Giappone, 1940), che declina il senso della sacralità dell’immagine in un lavoro consistente soprattutto nell’auscultazione della qualità delle materie adottate. Installazioni complesse e sapienziali prendono a realizzare Bagnoli, Salvadori, Diego Esposito (Teramo, 1940), Renato Ranaldi (Firenze, 1941). Ettore Spalletti (Cappelle sul Tavo, 1940). Quest’ultimo, soprattutto, recupera un’idea di monocromia pittorica totalmente non ideologica, basata invece su un rapporto spirituale tra lo spettatore e il colore, alla base d’importanti realizzazioni ambientali.

La Biennale di Venezia del 1980 rappresenta un tentativo di bilancio - e di definitiva consacrazione delle neoavanguardie degli anni Settanta e anche, nella sezione Aperto, di formulazione di un nuovo orizzonte di pratiche artistiche. Molti di questi artisti dopo una formazione che li ha visti agire tra performance, installazioni e ricerche fotografiche, hanno scelto di adottare la pittura come tecnica privilegiata.

Un cambiamento della scena figurativa coincide con il successo internazionale della “Transavanguardia”, esplicitato nella mostra Opere fatte ad arte, che si tiene nel 1979, ad Acireale, nella quale Achille Bonito Oliva accomuna le opere di Ghia, Clemente, Cucchi, De Maria e Paladino, sulla base di strategie di ritorno al pittorico. Sull’ondata di queste aperture si denota a livello internazionale un cambiamento: I “Neue Wilden” a Berlino. Gli americani con Schanabel. I francesi con la “Figuration Libre”, è da ricordare gli italiani non “raggruppati”, Filippo Di Sambuy (Roma, 1956), Silvio Merlino (Napoli, 1952), Fabio Cresci (Marcignana, 1955), Andrea Nelli (Bologna, 1950). Le valenze decorative della pittura, con complesse e indirette citazioni della cultura orientale, con Davide Benati (Reggio Emilia, 1949), e la scultura di forte suggestione narrativa di Luigi Mainolfi (Avellino, 1948), Medhat Shafik (El Badari, Egitto, 1956), Arcangelo (Avellino, 1956).

Contemporaneamente all’affermazione del Neo-Espressionismo e della Transavanguardia tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, il “ritorno alla pittura” si manifesta in forme radicalmente diverse con alcuni pittori che assumano a loro modello stili o iconografie liberamente rivisitate dell’arte rinascimentale, manierista, barocca e neo-classica. La prima uscita di gruppo, Anacronismo così definito da M. Calvesi, è nella galleria la Tartaruga di Roma, nella primavera del 1980, con Piruca, De Stasio, Alberto Abate (Roma, 1946), Piero Pizzi Cannella, Salvatore Marrone (Palermo, 1948). Si aggregano: Omar Galliani (Montecchio Emilia, 1955), Ubaldo Bartolini (Montappone, 1944), Carlo Bertocci (Castell’Azzara, 1946), Aurelio Bulzatti (Argenta, 1954), e lo scultore Paolo Borghi (Como, 1942).

Anche in questo caso operano figure isolate: i fratelli Antonio e Tano Brancato (Floridia, 1937), Wainer Vaccari (Modena, 1949), Sergio Ceccotti (Roma, 1935), Paolo Giorgi (Grosseto, 1940), Andrea Volo (Palermo, 1941), Giorgio Tonelli (Brescia, 1941), Gioxe De Micheli (Milano, 1947), Silvano D’Ambrosio (Hayange, 1951), Aldo Damioli (Milano, 1952). Sul versante della “Nuova Maniera in Italia”, tra i capiscuola, Bruno D’Arcevia (Ancona, 1946).

La prospettiva “postconcettuale”, è ancora ambito di esplorazioni, e soluzioni di continuità, maturano nuove personalità, come Giorgio Cattani (Ferrara, 1949), Patrizia Guerresi (Pove del Grappa, 1951), Luigi Carboni (Pesaro, 1957), Mauro Folci (L’Aquila, 1959), Vittorio Messina (Zafferana, 1946), Antonio Ievolella (Benevento, 1952), Antonio Violetta (Crotone, 1953), Pablo Atchugarry (Montevideo, Uruguay, 1954), dalle complesse attenzioni ambientali che manifestano in opere deliberatamente al confine tra scultura, pittura e installazione.

Sotto il nome di “Nuovi Nuovi” il critico Renato Barilli ha raggruppato nel 1980 alcuni artisti di spirito post-moderno, nei quali in genere il disegno o la traccia manuale sono leggeri, eleganti, stilizzati, con una tipica ambiguità tra aspetti iconoci e aspetti aniconici-decorative, tra questi: Enzo Esposito (Benevento, 1946), Marcello Jori (Merano, 1951), Ontani, Felice Levini (Roma, 1956), Giuseppe Salvatori (Roma, 1955), Aldo Spoldi (Crema, 1950), Wal (Roncolo, 1949), Vittorio D’Augusta (Fiume, 1937), Carlo Bonfà (Pergognaga, 1944), e Luigi Mainolfi.

Il “Movimento Magico Primario”, nato ufficialmente nel 1982, teorico Flavio Caroli. E’ un movimento d’impronta post-modernista, dove la citazione è finalizzata a un corto circuito emotivo tra passato e presente “alla ricerca di entità archetipiche annidate da sempre nel cuore dell’uomo”. Si differenzia in varie correnti di diversa declinazione, tutte a impronta citazionista e figurativa, come i Nuovi Nuovi di Renato Barilli, gli Anacronisti di Maurizio Calvesi, i Nuovi Selvaggi della Transavanguardia di Achille Bonito Oliva. Gli artisti aderenti al Movimento Magico Primario, sono Ubaldo Bartolini, Omar Galliani, Luigi Mainolfi, Aldo Spoldi, Salvo, Longobardi, Gianfranco Notargiacomo, Marcello Jori.

Nel 1983 si tiene alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna L’Informale in Italia a cura di Renato Barilli e F. Solmi. Nella sezione “sviluppi dell’informale” a cura di R. Daolio, gli artisti Zucchini, Enzo Esposito, Vittorio D’Augusta, Pietro Fortuna, Maraniello, Vittorio Messina, Bartolini.

Successivamente la tendenza gestuale lascia il posto a una non-figuratività più sedimentata e di “materia”. Si muovono in questa direzione, con implicazioni magiche alchemiche, un gruppo di artisti romani, indicati da Italo Mussa come “Nuova scuola romana”, che operano, dunque, nei punti in cui l’interruzione tra astrazione e figurazione è più lacerante e perciò più delicata, è la mostra Ateliers, nel 1984, a ratificarne la presenza non secondaria nei corsi dell’arte nuova, vi prendono parte: D. Bianchi, Bruno Ceccobelli (Todi, 1952), Giuseppe Gallo (Rogliano, 1954), Gianni Dessi (Roma, 1955), Nunzio, Piero Pizzi Cannella (Roma, 1955), conosciuti come il “gruppo di San Lorenzo”. Così come tentano di estrapolare una forma mitica dell’informalità delle materie gli altri artisti romani “di via del Paradiso”, Enrico Luzzi (Roma, 1950), Giancarlo Limoni (Roma, 1947), Sergio Ragalzi (Torino, 1951).

Agli accessi pittorici di questa situazione reagiscono altri artisti che operano a Roma, la loro pittura, punta nell’essenzialità attraverso l’uso esclusivamente del monocromo, con Gianni Asdrubali (Tuscania, 1955), Antonio Capaccio (Civitavecchia, 1956), Mariano Rossano (Napoli, 1955), Rocco Salvia (Picenno, 1953), Bruno Querci (Prato, 1956), Lucia Romualdi (Roma) e Tommaso Massimi (Tivoli, 1955). Faranno parte dell’“Astrazione povera”, teorizzata da F. Menna.

Dal 1983 un gruppo di artisti che poi sarà etichettato come “Nuovo Futurismo” si raccoglie a Milano intorno a Luciano Inga-Pin e alla galleria di quest’ultimo, “Il Diagramma”, presentati da Renato Barilli. A procurare al gruppo più vasta notorietà sarà la mostra alla Rotonda della Besana nel 1986. Espone in quest’occasione la compagine classica del movimento, formata da: Marco Lodola (Dorno, 1955), Bonfiglio, Innocente (Verona, 1950), Gianantonio Abate (Como, 1955), Palmieri, Postal, Plumcake formato da artisti pavesi: Giovanni Cella (1953), Romolo Pallotta (1954), Claudio Ragni (1955). I loro lavori sono in PVC, lamiera, vetroresina, Plastica.

E’ la grande mostra “Anniottanta”, che si tiene tra Bologna, Imola, Ravenna e Rimini nel 1985. Intende fare il punto sulla varietà di nuove emergenze, incrociandole con le situazioni di riferimento a livello internazionale. Gli artisti presenti sono suddivisi per generi espressivi. L’impostazione stessa della rassegna porta a escludere i tentativi di declinare ulteriormente le possibilità proprie della scultura, sia nell’atteggiamento postminimal da scultori/installatori come: Carlo Guaita (Palermo, 1954), Daniela De Lorenzo (Firenze, 1959), Antonio Catelani (Firenze, 1962), sia nel senso di più complesse costruzioni plastiche come nel caso di Lucilla Catania (Roma, 1956), Claudio Palmieri (Roma, 1955), Eduard Habicher (Venosta, 1956). Nel 1986 si tiene a Milano alla Rotonda della Besana la mostra Postastrazione a cura di F. Caroli “Oggi la parlata astratta-neoinformale è la più diffusa” partecipano: Fabio Cresci, Giancarlo Limoni,Enrico Luzzi, Gianfranco Notargiacomo, Nunzio, Piero Pizzi Cannella, Sergio Ragalzi, Tirelli.

Dalla seconda metà degli anni Ottanta, riaffiora il problema dell’ideologia. Di questo senso di smarrimento del rapporto con il reale il “Gruppo di Piombino” formato da Salvatore Falci (Ponteferraio, 1950), Stefano Fontana (Campiglia Marittima, 1955), Pino Modica (Civitavecchia, 1952), Cesare Pietroiusti (Roma, 1955), reagiscono energicamente contro la perdita di ruolo nel quotidiano e raccolgono tracce di esperienze di vita reale nelle loro opere che a volte sembrano proseguire ricerche nouveaux realistes e che provengono in parte dal centro Jartrakor di Roma. Fondato da Sergio Lombardo, che dal ‘79 dirige la Rivista di Psicologia dell’arte).

A Roma nel frattempo prosegue il lavoro sulla scultura, praticata mista alla pittura. Notevole il trio formato da Andrea Fogli (Roma, 1959), Claudio Givani (Roma, 1958), Alfredo Zelli (Roma, 1957), meritevoli per il fatto di comporre forme massicce, con qualche riferimento a oggetti di uso comune, ma riportate a misure enigmatiche, quasi di stampo metafisico.

Notevoli gli apparati ludici montati da Giovanni Albanese (Bari, 1955), con le sperimentazioni volte a simulare su scala ridotta, certi fenomeni meteorologici, scariche elettriche e lampi.

E’ il primo sintomo consistente dell’affermarsi di una generazione ulteriore. Nel 1987, Corrado Levi tiene nel proprio studio la mostra Spunti della giovane arte italiana. Mentre da Marconi si presenta Arte nuova d’Italia. E’ l’avvio di una stagione complessa, di difficile decifrazione. In cui s’incrociano operazioni di postconcettualismo “addolcito”, e il caso di Arienti, con opere realizzate piegando le pagine dei giornali, o di Thorsten Kirchhoff (Copenaghen, Danimarca, 1960), autore di operazioni di modificazioni degli oggetti comuni, di Umberto Cavenago (Milano, 1959), e Cattelan, inventori di eventi lucidi e spettacolari, e dei più giovani, Eva Marisaldi (Bologna, 1966), Perino & Vele (Emilano Perino, 1973 - Luca Vele, 1975). Con più evidenti riprese della cultura “bassa” del fumetto e della grafica pubblicitaria, dal mondo dei lego e dei Playmobil, si estende all’immaginario pop, cui guardano, Pier Paolo Campanini (Cento, 1964), Alessandro Bazan (Palermo, 1966), Federico Guida (Milano, 1969). Più radicale pare la posizione degli artisti che danno vita all’esperienza di spazi autogestiti come la Casa degli artisti e quello in via Lazzaro Palazzi a Milano, tra i quali spicca Liliana Moro (Milano, 1961), e Luca Quartana (Milano, 1958)) che muovono dalle premesse dell’Arte povera. All’apposto, un preciso riferimento e pratiche pittoriche e scultorie che salvaguardino l’identità storica, caratterizza il lavoro di Luca Caccioni (Bologna, 1962), e Giovanni Manfredini (Pavullo nel Frignano, 1963).

Utilizzano le tradizioni diverse dell’installazione, del video e della fotografia per realizzare eventi complessi, che giungono finalmente a saldare la linea del “teatro di visione” con quelle dell’ambientalismo di tradizione artistica, Bruna Esposito (Roma, 1960), V. Beecroft, Luca Vitone (Genova, 1964), G. Toderi, Monica Carrocci (Roma, 1966). Assumano invece la pratica fotografica, come premesse d’indagini: Antonio Biasucci (Dragoni, 1961), Raffaella Mariniello (Napoli, 1961), Paola di Bello (Napoli, 1961), Botto & Bruno (Gianfranco Botto, Torino, 1963. Roberta Bruno, Torino, 1968), Gea Casolaro (Roma, 1965), Armin Linke (Milano, 1966), Francesco Jodice (Napoli, 1967.) Nell’ambito dell’installazione ha come matrice di riferimento comune il lavoro di: Studio Azzurro, fondato nel 1982, a Milano da Fabio Cirifino (Milano, 1949), Paolo Rosa (Rimini, 1949), Leonardo Sangiorgi (Parma, 1949.) A loro si deve anche la nascita a Milano di generazione media, centro che studia e documenta i rapporti tra nuove tecnologie e creazione, e Carlo Bernardini (Viterbo, 1966). Realizza grandi installazioni ambientali con le fibre ottiche.

Alla fine degli anni Ottanta il critico Gabriele Perretta comincia a indagare il rapporto che lega alcuni giovani artisti alle immagini e alle forme dell’universo mass mediale. Nota che in molte delle opere di quel periodo si fa luce una nuova considerazione, in positivo o in negativo, dell’inquadratura televisiva, delle strategie di comunicazione, della progressiva sottomissione dell’uomo alle macchine, e decide di organizzare e indirizzare la tendenza con una serie di mostre. Nasce così la “Pittura Mediale”, nel novembre 1991 è presentata la prima mostra Medialismo, alla galleria Paolo Vitolo di Roma, espongono, tra gli altri: Cattelan, Emilio Fantin (Bassano del Grappa, 1954), Nello Teodori (Gualdo Tadino, 1952), Cesare Viel, Luca Vitone (Genova, 1964), entro la fine dell’anno si tengono altre due mostre, La pittura mediale, alla Galleria Forum, Roma, e allo Studio Carbone, Torino. Partecipano, tra gli altri: Cannavacciuolo, Luigi Mastrangelo (Santa Croce di Magliano, 1958), Antonella Mazzoni, (Fiorenzuola, 1957), Gian Marco Montesano (Torino, 1949), Fabrizio Passarella (Contarrina, 1953). La pittura mediale rappresenta una frattura insanabile con il passato. Lo stile da illustrazione, le figure e le posture da programma televisivo, aprono la strada a una scuola di citazionismo mediale.

“Concettuali ironici”, insieme a Cattelan sono gli interpreti più accreditati dell’arte ironica, gli eredi legittimi di provocazioni e divertissement firmati in passato da Manzoni, Boetti e Munari. Non si muovono come un vero e proprio gruppo ma sono presentati fianco a fianco ogni volta che una grande mostra si occupa degli aspetti più ludici, sarcastici o cinici della ricerca contemporanea, Corrado Bonomi (Novara, 1954), Dario Ghibaudo (Cuneo, 1955), Silvano Tessarollo (Bassano del Grappa, 1956), Antonio Riello (Rio De Janeiro, 1958), Alex Pinna (Imperia, 1967), il gruppo Cracking Art, capaci di passare con facilità dalla pittura alla scultura, all’installazione, stravolgono le logiche del sistema dell’arte, mettono a nudo le sue contraddizioni.

Legati alla tradizione figurativa lombarda, accumunati da uno stile che da una parte recupera al disegno il ruolo centrale nella composizione dell’opera, dall’altra concede ampio spazio sulla tela all’immaginazione visionaria, Giovanni Frangi (Milano, 1959), e Velasco Vitali (Bellano, 1960). Più attenti a evolvere dalle premesse dell’astrazione analitica, Roberto Caracciolo (New York, 1969), e Gianfranco D’Alonzo, (Roio Del Sangro, 1958), Ignazio Gadaleta (Molfetta, 1958). Da una figurazione ormai definitivamente libera da vincoli di rappresentazione, Giuliano Guatta (San Felice del Benaco, 1967), e Andrea Massaioli (Torino, 1970). Sulle orme del medialismo, si sviluppa una figurazione spigolosa, capace di guardare alle logiche e alle forme dell’Horror, del porno, Daniele Galliano (Torino, 1961), e Barbara Nahmad (Milano, 1967). Un ritorno alla pittura di scuola tradizionale, Andrea Martinelli (Prato, 1965), e Alessandra Ariatti (Reggio Emilia, 1967). Una pittura tecnica fatta di studi e prospettive, Paolo Fiorentino (Roma, 1965). Essenziale la pittura di Marco Neri (Forlì, 1968).

Nonostante il fuoco fatuo della generazione Brown Boveri e l’avvento del gruppo dei testoriani, per tutti gli anni novanta Milano sembra dare i natali soprattutto a giovani artisti concettuali. In realtà qualcosa sta cambiando, si fa luce una nuova leva di artisti. Le riviste patinate conquistano una credibilità mai vantata prima, gli stilisti sono presenti come maìtre-à-penser e le loro top model rubano il posto delle attrici nel gradimento degli spettatori, anche la pittura italiana è attraversata da un forte vento da glamour, ma si disperde in mille rivoli e tendenze, rispetto al numero di artisti che possono essere incasellati in un movimento, tale almeno, di fatto, sono moltissimi quelli che portano avanti un lavoro personale, anarchico, non paragonabile a quello di nessun altro. Tra lo scorso e l’attuale millennio, queste ricerche più che singolari vengono a galla, con alcune mostre: Trevi Flash Art Museum, Trevi, Perugia (1995). Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, dal 1996 orchestra il Premio Guarene Arte per i Giovani. “Sui Generis“ Milano (2000). Italian Factory Biennale di Venezia (2003). XIV e XV Quadriennale di Roma (2003-2005-2008). Premio Cairo, Milano. Queste rassegne danno una visione completa dell’arte giovane in Italia. Si mettono all’attenzione, tra gli altri: Andrea Chiesi (Modena, 1966), Flavio Favelli (Firenze, 1967), Stefano Cagol (Trento, 1969), Giacomo Costa (Firenze, 1970), Sara Rossi (Milano, 1970), Roberto Cuoghi (Modena, 1973), Matteo Basilè (Roma, 1974), Domenico Mangano (Palermo, 1976).